domenica 14 febbraio 2010

LYKOS


Mauro Likar


Lykos


Il«Carattere Lupo» non partecipa al patto di assuefazione e dominio domestico incarnato dalle città civilizzate; non si ammansisce nel sicuro recinto dell’ovile sociale, e salvaguarda per prima cosa la propria indipendenza, anche a rischio della solitudine e di una incomprensione generale, che giunge fino alla proscrizione, alla persecuzione, o all’auto emarginazione Volontaria.


«Lupo» è uno che si ribella e sottrae alla tagliola della società civile, e alle sue regole di studiata e bonaria debolezza, opponendosi radicalmente alla sedentarietà appresa, e all’impiego degli artifici collettivi che garantiscono la sopravvivenza accanita: dei peggiori e degli inetti, a scapito dei migliori e dei più vigorosi. Egli resta profondamente selvaggio, nel senso di intimamente vicino alla natura e alle sue leggi eterne: interamente occupato nella soluzione dei problemi reali che si presentano sulla sua strada.


Il «Lupo» affronta queste sfide in modo autentico e diretto, e non accampa scuse che aggirino l’ostacolo, né inventa simulacri, o surrogati di lotta, che sostituiscano l’attacco risolutore, e il sacrificio che esso comporta. Preso nella tagliola, o nella morsa sociale, può decidere di auto mutilarsi, staccandosi una zampa a morsi, pur di restare libero e padrone di sé. Con il transito nelle tenebre dei secoli cristiani, lo «Spirito del Lupo» è stato condannato come demoniaco, come ribelle asociale ed anacronistico, revocato ed oppresso nella maggioranza dei popoli, fattisi ormai stanziali e sedentari.

Ma talvolta, esso riappare inatteso in alcuni individui eccezionali, che prendendo coscienza del proprio irrinunciabile spirito di libertà e di rivolta, possono ancora affermare consapevolmente:


« Io mi sento bruciare da una sete selvaggia di sensazioni violente, da un intenso furore contro quest’esistenza neutra, piatta, regolare e sterilizzata.

Il mio è un desiderio forsennato di devastare, di creare controsensi, di sberleffare gli idoli più rispettati, di aiutare l’evasione degli adolescenti in rivolta, di eccitare, di eccitarmi, di sedurre e concupire un fanciullo, o di esserne affascinato; oppure di torcere il collo ad un qualsiasi rappresentante dell’ordine borghese.

Perché io detesto, maledico ed aborrisco, dal più profondo del mio cuore, questa beatitudine fittizia, questa salute malata, questa comodità ossidante, quest’ottimismo trasognato, questa grassa e prospera elevazione del mediocre e dell’ordinario, a spese dell’eccezionale e dello straordinario.»


Simili individui “Demoniaci” possono definirsi «Lupi» a tutti gli effetti e dire a se stessi: «È difficile trovare la Pista e la traccia sottile del Dio, in mezzo agli odori nauseabondi di questa vita infra-umana, così soddisfatta di sé, così borghese, così antispirituale ed artificiosa; fatta di affari fetidi, di politica mondana, e di miserabili compromessi, fin troppo umani!


Ma Io sono un Lupo: un ruvido eremita delle foreste, piombato in mezzo ad un mondo di cui non condivido le volubili ambizioni, e di cui non apprezzo i piaceri incompleti!


Ciò che mi scuote dandomi gioia, emozione, estasi, piacere ed elevazione, questo mondo lo ignora, lo fugge come dannato e, tutt’al più, lo tollera nella poesia dei poeti morti, che appunto perché cadaveri, può considerare ormai suoi, trattandolo però, nei vivi, come un fomento e una flogosi di inaccettabile follia.


In effetti, se il gregge americanizzato ed ebraicizzato dei conformi ha ragione, se questa musica, questi rituali collettivi, questi uomini spezzati e remissivi contenti di così tanta pochezza, e così esperti di lussuosi nulla, hanno ragione, io sono certamente un folle, o un Demone; ma sono, e voglio restare, pur tuttavia, un Lupo delle tempeste: un Barbaro impeccabile, di Luce e folgori, che non si fa imprigionare dalle critiche di un mondo estraneo e per lui imperdonabile.


Io, il Lupo della Luce, sono il Dio disperso nell’uomo, che non trova più in esso il suo clima e la sua aura; il suo cibo, e la sua reale Dimora.»


Mauro Likar


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